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Un giorno della vittoria ancora senza occidentali

Il Cremlino celebra il 9 maggio i 79 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale - Gli ospiti presenti sottolineano i legami pragmatici con le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale

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È il giorno della parata militare sulla Piazza Rossa

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Di: Stefano Grazioli

Le celebrazioni per il 9 maggio, anniversario della vittoria in quella che in Russia viene chiamata Grande guerra patriottica, si tengono a Mosca ormai da dieci anni senza la partecipazione occidentale. Dal cambio di regime a Kiev del 2014, a cui è seguita l’annessione della Crimea e l’avvio della prima guerra nel Donbass, la frattura tra Russia da una parte ed Europa e Stati Uniti dall’altra si è progressivamente allargata e la vittoria sul nazifascismo del 1945, sovietica ed alleata, viene festeggiata separatamente. Per la terza volta la ricorrenza cade con la guerra in Ucraina in corso, declinata da Vladimir Putin sulla falsariga di quella del secolo scorso, come una sorta di battaglia esistenziale per Mosca contro il nemico peggiore, questa volta rappresentato dallo schieramento occidentale che sostiene Kiev.

Le commemorazioni sulla Piazza Rossa, seppur contenute rispetto al passato per ragioni che vanno dalla sicurezza interna alla congiuntura internazionale, rimangono un’occasione per il Cremlino per dimostrare da un lato la propria forza militare, dall’altro il fatto che la Russia, pur isolata a occidente, rimane il maggiore “player” nello spazio postsovietico. In questa ottica è rilevante come a Mosca siano presenti tutti i leader delle cinque repubbliche dell’ex URSS dell’Asia centrale: Qasym-Zhomart Toqaev (Kazakistan), Shavkat Mirziyoev (Uzbekistan), Emomali Rahmon (Tagikistan), Sadyr Japarov (Kirghizistan) e Serdar Berdymukhammedov (Turkmenistan).

Il 9 maggio non ha solo un valore simbolico per il passato condiviso, con la vittoria sovietica di 79 anni fa che ha sempre lasciato un’eredità pesante in tutti paesi dell’ex URSS per l’enorme tributo pagato in vite umane (circa 20 milioni di morti tra il 1941 e il 1945), ma anche per il presente: il progetto della ricostruzione di una nuova alleanza costruita sulle ceneri dell’Unione Sovietica crollata nel 1991 è stato ed è uno di quelli che Putin ha tentato di realizzare nel corso di quasi cinque lustri al Cremlino.

La creazione dell’Unione Euroasiatica dieci anni fa, con la partecipazione di Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Bielorussia ed Armenia, avrebbe dovuto essere l’inizio di un’integrazione maggiore, in primo luogo economica, anche con gli altri paesi dell’Asia centrale e del Caucaso, ma si è inceppata a causa della crisi ucraina, che da un lato ha frenato il piano russo e dall’altro spostato le priorità dei rispettivi Paesi. Se Mosca, anche dopo l’inizio del conflitto su larga scala con Kiev, ha levato lo sguardo dal Caucaso, quello sugli “Stan” si è invece intensificato.

Le cinque repubbliche centro-asiatiche hanno mantenuto buoni rapporti con la Russia e, troppo lontane dall’Europa per essere cooptate dalle varie alleanze occidentali, sono rimaste al fianco di Mosca, sia con solidi rapporti bilaterali che all’interno delle varie organizzazioni postsovietiche, come la CSI (Comunità degli Stati Indipendenti), CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai). Soprattutto quest’ultima, trainata da Mosca e Pechino, fondata negli anni Novanta ai tempi di Boris Eltsin e Jang Zemin con l’obbiettivo di superare l’uni-polarità statunitense del dopo Guerra fredda, rappresenta l’anello di unione tra la Russia postsovietica e la Cina nella prospettiva di un blocco euroasiatico in contrapposizione a quello occidentale.

Accanto ai grandi attori come Cina, India o Turchia, quest’ultima membro della NATO, che non si sono accodate alle sanzioni contro Mosca di Unione Europea e Stati Uniti, i Paesi dell’Asia centrale hanno inoltre assunto un ruolo fondamentale per l’economia russa, diventando i centri di smistamento di merci in arrivo e in uscita dalla Russia. Non solo: anche le repubbliche del Caucaso che negli ultimi anni hanno visto peggiorare le relazioni politiche con Mosca, come Armenia e Georgia, a livello economico e commerciale hanno partecipato al gioco dell’aggiramento dei provvedimenti restrittivi occidentali che ha comunque influenzato positivamente le rispettive economie. In definitiva, l’influenza del Cremlino rimane molto alta in particolar modo negli “Stan”, dove però subisce la concorrenza di Pechino. Ma nel complesso, dopo lo shock iniziale dell’invasione dell’Ucraina, i legami tra Russia e i Paesi centro-asiatici sembrano essersi ricomposti in nome del pragmatismo.

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Telegiornale 07.05.2024, 12:30

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